Marina Martorana è giornalista di attualità, autrice di manuali/saggistica e consulente di comunicazione
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Emily in Paris? Non sa il francese

Ho letto quintali di recensioni, critiche, perplessità sulla nuova serie trasmessa da Netflix   Emily in Paris, di Darren Star. creatore (anche) della fortunata Sex and the City.

Non ne posso più di testi grondanti di cerebralità! Né capisco per quale motivo ci si debba accanire così tanto su questo film a puntate. Pieno di stereotipi, così viene descritto e bla bla bla. Non è né meglio né peggio di migliaia di altri, assai meno toccati.

Una favoletta moderna da guardare mentre si cucina, compiaciuti dalla grinta accattivante di Emily, o meglio, di Lily Collins, la figlia di Phil che si destreggia nella grande ville lumière  che la respinge…snobisticamente. Già, la ragazza arriva da Chicago indossando capi stravaganti all’ultimo grido della moda nella città più chic e con atteggiamenti yankee che stridono con modi di fare più contenuti o signorili, oppure semplicemente europei.     

A parer mio la sola vera stranezza da rilevare è che la protagonista, appunto Emily, cali per lavoro a Parigi, assunta da una prestigiosa agenzia di marketing e comunicazione, senza sapere una parola di francese. Non da turista, non per fare l’operaia alla catena di montaggio, ma proprio per dedicarsi a una professione dove la conoscenza della lingua ( e così, di usi e costumi) è fondamentale. 

   

 

Acquisto di like, follower, commenti per gettonatissimi profili Facebook

Un altro aspetto di Facebook, non meno inquietante dei falsi profili, riguarda la perenne compravendita in corso nella mega piazza virtuale. Non intendo certo inserzioni pubblicitarie o link di e-commerce, evidenti in quanto tali e soggetti alla libera scelta individuale.

Mi riferisco a qualcosa di occulto, macinato dietro le quinte del visibile con algoritmi e sofisticati sistemi tecnologici:  gli utenti non sanno chi accede ai loro dati. E per quale scopo.  Ricordo che la vicenda più clamorosa è saltata fuori l’anno scorso grazie alle ottime inchieste parallele di The Guardian e del New York Times. La società di consulenza britannica Cambridge Analytica avrebbe usato illecitamente i dati di oltre 50 milioni di elettori americani naturalmente ignari ( monitorandone psicologia e comportamenti in base alle loro attività su Facebook) per influenzarne il voto alle urne.

Una storia importante che, a poche ore dalla pubblicazione delle inchieste sui giornaloni anglosassoni, ha fatto calare il valore delle azioni di Facebook del 6,8% ed è costata allo stesso Mark Zuckemberg più di 9 miliardi di dollari del suo personale patrimonio.  

Il punto è che situazioni di questo tipo, sia pur declinate in modi e dimensioni diverse, sono all’ordine del giorno anche in Italia.  Internet pullula di società che offrono come servizio di punta l’acquisto di like, follower e commenti per i profili dei social network, Facebook in testa. Non le nomino solo per non pubblicizzarle. Provate a digitare in un motore di ricerca le parole chiave e zacchete, compaiono subito con indirizzo, numero di telefono etc. 

E’ tutto lecito? Tali venditori parlano di dati reali: like, follower, commenti non sarebbero inventati di sana pianta per far accrescere la notorietà del tal profilo, bensì proverrebbero da persone in carne e ossa. Ma queste persone ( che magari perlopiù vivono in Groenlandia, in Nuova Zelandia, in Brasile) sono a conoscenza di venir utilizzate?  

E in ogni caso, quel personaggio nazionale o internazionale che annovera migliaia di like, follower e commenti, è davvero interessante per la comunità, oppure appare solo tale? La gente, quella vera per capirci, è veramente così attratta dal tal gettonatissimo profilo, quindi da quei contenuti e da quanto esprime?  Influenza o è tutto un bluff? 

Questo fattore può sballare previsioni (serie) di vendita, di marketing, di analisi economiche e sociali  

La vicenda punta ancora una volta l’attenzione su realtà-reale e realtà-virtuale. E il caos che genera nel grande pubblico. Ignaro.   

 

 

 

 

Caos digitale: i falsi profili su Facebook

Restiamo nella piazza più pazza e affollata del mondo a osservare un altro fenomeno, quello dei falsi profili. Lo stesso Facebook (ultimi dati rilevati dalla Community) ha rimosso 583 milioni di utenti mascherati con falsa identità. Un numero che dà forte l’entità del caos generato dalla democrazia digitale e che infatti le leggi cercano di arginare. Un falso profilo Facebook infatti può essere un reato penale, per quanti desiderano approfondire ecco quando 

Proseguiamo con le nostre dissertazioni di lifestyle sui fakers. Chi sono, tanto per iniziare? Di ogni umanità, sesso e genere. Il fidanzato/a mollato che insidia l’ex sotto mentite spoglie o la/lo vuole tenere sotto controllo (lascio da parte gli stalker, triste capitolo da vie legali ); la vicina di casa furibonda perché il cane dell’altra/o fa la pipì nella sua aiuola e fa dispetti sul web; un nemico politico che vuol fare ostruzionismo o trainare proseliti senza esporsi; il classico adescatore di donne in rete non proprio bellissimo e interessante ( e magari sposato) che si finge un figo stratosferico e single; il venditore che si nasconde per studiare a chi offrire a colpo sicuro o quasi  i suoi prodotti (assicurazioni, mutui, tisane dimagranti, viaggi..); il gay o la lesbica che cerca un compagno/a ed evita di incorrere in commenti omofobi.

Tanto per esemplificare. Tutti casi, comunque, in cui il faker ha o trae un vantaggio sugli altri mascherandosi. Scorretto, certo, eppure frutto dei nostri tempi. Bisogna poi aggiungere al quadro una certa quantità di psicolabili, maschi e femmine, che spiano la vita altrui non sapendo, potendo, riuscendo a viverne una propria. Non dannosi in apparenza, forse neppure nei fatti ( di solito sono innocui), di certo irritanti e comunque spioni, da tenere alla larga.  

Ma quando veri e propri criminali si insinuano virtualmente nella vita delle loro prossime vittime, il fatto diventa gravissimo. E con conseguenze amare. Può capitare sia per furti/rapine: sorvegliando i proprietari di appartamenti/ville lussuosi, dai contenuti altrettanto allettanti, per capire quando entrare liberamente e fare man bassa. Idem in aziende o seconde case se sanno che possono assicurarsi un nutrito bottino. E’ buona regola infatti – suggerita dalla stessa Polizia di Stato – non pubblicare mai su Facebook che si sta partendo per le vacanze, né postare proprie immagini durante tour esotici ( = farlo al rientro è la mossa migliore).  La certezza che l’utente si trovi a migliaia di chilometri di distanza rappresenta un via libera per i ladri che stanno sorvegliando il profilo del malcapitato. 

Sembra un thriller eppure è maledettamente reale il caso degli stupratori seriali.  Psicopatici. Che identificano in rete le prossime prede, chiedono l’amicizia ( ovviamente camuffati spesso da donne, non certo con la loro vera identità), si pongono in modo friendly per carpire la loro fiducia. E poi, dopo tante chat insospettabili (partite di calcio, cinema, musica) propongono un appuntamento innocente e con nonchalance ” ma quel film potremmo andare a vederlo insieme”. 

Già. Pazzesco. Ma si può riconoscere un falso profilo Facebook? Diciamo di sì, con un po’ di accortezza ci si può tentare. A partire dalla foto. Mai accettare l’amicizia virtuale di chi non la pubblica ( a meno che non sia di un amico nella vita reale e di cui si conoscono i motivi). Sarà per timidezza, sarà perché si sente brutta/o, sarà quel che sarà. Di sicuro l’immagine di un personaggio dei cartoon, del gatto o di un tramonto possono celare un ghost profile. Magari no, certo, però la diffidenza è d’obbligo.

Poniamo ci sia la foto della persona. A quel punto, sempre prima di accettare l’amicizia, dare un’occhiata alle informazioni: possibile non abbia frequentato alcuna scuola, non svolga alcun lavoro? La data di nascita si può inventare, ben più improbabile rischiare con scuole e/o professioni. Un profilo vero in genere contiene almeno qualche dato identificativo. Poi, vedere se esistono amici in comune. In caso negativo, diffidare. Altro aspetto cui prestare attenzione è la stessa bacheca del richiedente: cosa posta? E chi gli risponde?  Se si tratta di un profilo fermo o scarsamente attivo, non rappresenta un tipo/a tanto social. E perché mai allora desidera la nostra amicizia?  Meglio domandarselo.