Se ti sposi il ristorante costa di più

Nov

16

2022

Sono perplessa dalla notizia, in quanto data e ridata ripetutamente dai media, della coppia che prenota un tavolo al ristorante senza dire che si tratta di un pranzo di nozze. Cosa che ha fatto sclerare il titolare. Ora, sappiamo tutti (o quasi) che ai novelli sposi vengono normalmente applicate tariffe ben superiori a quelle di una normale cena tra amici. Vien da sé che balzi in mente di omettere il motivo della tavolata, in modo da spendere meno a fronte dello stesso menu, dello stesso servizio, della stessa location. 

Perché stupirsi dell’ovvio? Il proprietario si è ovviamente incavolato, avrebbe guadagnato di più. Ovviamente gli sposi, risparmiando, non hanno commesso alcun reato. Basta, si chiude così la storiella.

Il macrocosmo dei consumi ha regole implicite oramai sgamate dai più. Dai saldi farlocchi alla lievitazione dei prezzi in vista di festività canoniche come Natale, Pasqua, San Valentino, l’8 marzo e via narrando. 

I consumatori oggi non sono perlopiù esche da accalappiare all’amo del business, bensì persone informate. Che magari comprano i regali natalizi a settembre o il gioiello per l’innamorata in tempi non sospetti. E’ la maggioranza di commercianti, piccoli, medi, grandi a non essersi evoluta. Ma questa é un’altra storia.  

 

 

 

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Armi: darle ai popoli amici vessati, sì o no?

Mag

11

2022

Armi sì, armi no..o meglio, dare armi o non dare armi in aiuto a popoli amici vessati da altri. Se ne sta parlando parecchio e ognuno, al solito, tira fuori le sue opinioni. Sui social, sui media, nei bar, nei salotti. Ingenue, banali, dense di stereotipi, ipocrite. A parer mio è un dilemma etico che non ha soluzione e sono ben felice di non dover dare il mio parere. Credo, piuttosto, sia emblematica la canzone La guerra di Piero dell’indimenticabile Fabrizio De André,  che invito tutti a riascoltare. Evviva la pace, ora e sempre

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I partigiani di Emma – una storia inedita nella grande Storia

Apr

25

2022

           I partigiani di Emma

                                    un inedito episodio che racconta la Resistenza in Italia

Emma era una ragazza della cosiddetta alta borghesia veneziana. Una bella morettina, gentile, vivace e colma di valori. Nonostante la sua agiata famiglia non avesse bisogno di soldi, aveva deciso di lavorare “per non sentirsi inutile”. E aveva scelto di fare la maestra, “i bambini sono il nostro futuro, è importante abbiano buone basi culturali”.

Quando si diplomò alle magistrali era al settimo cielo e attendeva la chiamata del Ministero per la sua prima classe. In quel tragico periodo c’era il fascismo e imperversava la seconda Guerra mondiale, benché come è storicamente noto Venezia – a parte un increscioso episodio – fu abbastanza risparmiata da bombe e devastazioni. Per sua stessa ammissione, Emma aveva vissuto un fascismo, un nazifascismo e la seconda guerra mondiale in modo edulcorato. Protetta anche dalla sostanziale mancanza d’informazione dell’epoca e dalle false versioni degli eventi imposte dal Duce ai giornalisti

Emma infatti parlava di quel periodo senza enfasi “Nessuno dei miei familiari e conoscenti era fascista, tutti profondamente democratici, però ci guardavamo bene dal dirlo in pubblico per evitare ritorsioni” e conduceva una vita normale nonostante il periodaccio, da rampolla della buona società. Non aveva problemi di cibo né paura del futuro, in quegli anni si capiva solo quel che si stava vivendo. Vuoi appunto per le censure mediatiche, vuoi per una strategica disinformazione generale, tanti e tanti tragici eventi e situazioni drammatiche furono noti agli italiani solo nel Dopoguerra.

Emma ricevette la chiamata che attendeva, ma completamente diversa da quanto credeva : il Comune di Venezia aveva infatti bisogno di personale all’Ufficio Anagrafe e lei era stata momentaneamente assegnata lì. Contenta comunque di potersi rendere utile, iniziò a lavorare anche se gli incarichi di ufficio non le piacevano. Li riteneva molto noiosi.

Ebbe ben da ricredersi…

Un giorno squillò il telefono della sua scrivania e una strana voce camuffata, dall’altra parte del filo, biascicò ”Emma sono lo zio Edgardo. Ascoltami bene, ho bisogno di una enorme aiuto da te, sono nei guai e solo tu puoi farmici uscire ”

“Io??”. Lei si stupì, ma da parecchio non aveva notizie dello zio, così prestò attenzione alle sue parole, sia pur stranita anche dal modo in cui parlava.

Lui proseguì :” Io e tre amici partigiani siamo ricercati dalla Polizia fascista, ci vogliono uccidere. Ci siamo rifugiati in un casolare di campagna a Mestre, dobbiamo fuggire all’estero al più presto. Ci occorrono quattro nuove carte di identità. Stasera puoi raggiungermi nel campiello de l’Anconeta che ti spiego cosa devi fare?” Emma acconsentì senza riflettere, automaticamente e poi le venne un forte mal di testa.

Tremava e sudava freddo, la telefonata del suo parente l’aveva tolta dalla bambagia in cui era adagiata e catapultata nella dura realtà. Una realtà che lei, diciottenne nei primi anni Quaranta, non conosceva, ma conosceva suo zio, un uomo schietto dalla forte personalità, non dubitava delle sue parole. Emma andò all’appuntamento spinta dal “Polizia fascista, ci vogliono uccidere” e dal suo grande ideale di pace “nessuno deve uccidere”.

Lo zio Edgardo sbucò da un angolo della calle avvolto in un lungo mantello nero, con cappello calcato e baffi, poi le spiegò che erano finti. “Sono travestito per non farmi riconoscere dalla polizia, ho poco tempo – le spiegò e le porse subito quattro fotografie piccole, quelle usate per le carte di identità – ecco, devi fare i nuovi documenti per noi, inventa tutto tu al maschile e come maggiorenni, nome, data di nascita..i dettagli non hanno importanza, però domenica devono essere pronti – e le dette un foglietto dove aveva disegnato la mappa del posto dove raggiungerlo.

Era un lunedì.

Emma, sia pur scombussolata dal tutto, riuscì a chiedergli “Perché vi vogliono uccidere?”. La risposta la turbò parecchio:” Siamo partigiani, contro questo regime dittatoriale, vogliamo la libertà, lottiamo per la democrazia. Ci hanno scoperti e ci stanno dando la caccia” Lei prese tempo :” Zio, ci penso su stanotte. Se mi chiami domattina, ti do la risposta”.

Emma tornò a casa sua con in tasca foto e foglietto, per prima cosa decise di non parlarne ai suoi genitori. Glielo aveva chiesto suo zio, raccomandandole il massimo silenzio con tutti. Ma il motivo non era solo questo. Si sarebbero allarmati troppo, si sarebbero fermamente opposti al rischio che correva…insomma, era una questione che doveva risolvere da sé. Quella sera non aveva fame, sentiva lo stomaco asserragliato in una morsa. Prima di andare a letto, molto presto con la scusa di avere un forte mal di testa, chiese a suo padre chi fossero esattamente i partigiani. Lui, un uomo particolarmente mite, le spiegò semplicemente: “ Sono brave persone che lottano per noi, ci stanno aiutando a ritrovare la libertà”

Si girò e rigirò nel letto per tutta la notte, a non riusciva a dormire. I punti interrogativi ballavano sfrenati nella sua giovane mente, alternando pensieri volti al pericolo della missione ad altri dal sapore di giustizia sociale. Giustizia, nonostante il limbo in cui viveva e avvolgeva tutto di un colorino rosa pastello, Emma percepiva fortemente dentro di sé il senso della giustizia e, di conseguenza, dell’ingiustizia.

La mattina dopo, quando squillò il suo telefono in ufficio, le erano passati i dubbi. Doveva farlo, l’adrenalinica spinta interiore era più forte di tutto. Disse con tono fermo a suo zio che sarebbe andata da lui domenica, verso mezzogiorno.

Ora il problema era oggettivo: doveva fare le 4 carte di identità per i suoi partigiani di nascosto. La maggior parte degli impiegati indossava la divisa o il look fascista, a lei consentivano di vestirsi come voleva perché non era iscritta al PNF, Partito Nazionale Fascista. Essendo così giovane, nessuno le faceva pressione. Nel clima succube-assertivo del periodo, erano comunque tutti certi lo avrebbe fatto. Intorno a lei entravano, uscivano, sostavano uomini e donne rigorosamente in nero.

Come liberarsi di loro?

In quel periodo c’era parecchio lavoro. Emma escogitò il da farsi. Andò spedita dal suo capo e gli chiese se poteva fare qualche ora di straordinario la sera, dettagliò tutto quello che doveva evadere con abbondanza di particolari, aumentando il numero delle sue incombenze. E lo convinse senza fatica. Assai difficile poter pensare che quella ragazza perbene, elegante, compita ed educata potesse essere un elemento sovversivo.

Nonostante i locali della Pubblica Amministrazione veneziani la sera fossero deserti, mentre incollava e timbrava le foto dei partigiani aveva un po’ di tremarella. Nulla di devastante, un pizzico di sano realismo che si insinuava tra i suoi ideali. Si rendeva conto che non solo lei, ma tutta la sua famiglia sarebbe stata uccisa se l’avessero scoperta.

Oramai era però animata da un fuoco amico che la scaldava e teneva compagnia, incitandola all’azione. Un grande fuoco che bruciava i rivoli della paura.

In quei giorni si era pure ingegnata per portare viveri ai quattro imboscati, non faticava a capire ne avessero un gran bisogno. La cantina di casa era diventata il suo quartier generale, un ampio locale a pianterreno con un grande armadio vuoto, qui aveva messo una cesta in vimini da pic nic e via via la colmava con ciò che riusciva a reperire. Non era semplice, benché gli alimentari nel suo entourage non fossero esattamente un problema, ogni famiglia usava la tessera annonaria, nominativa e rilasciata dal Comune.

E lei, non sapendo che altro fare, ne aveva rubata una intonsa in Comune senza sentirsi una ladra, compilata usando il nome fittizio di una delle carte d’identità creata per un partigiano: oramai le importava solo di portare al termine nel migliore dei modi la sua missione. Un salame, del formaggio, tavolette di cioccolato, una stecca di sigarette, una bottiglia di vino. Recuperò pure una pagnotta dalla cucina di casa, disse a sua madre che talvolta durante l’orario di lavoro le veniva fame e la ripose nella cesta viveri.

Di più non sarebbe riuscita a trasportare con la bicicletta.

Il fatidico giorno in cui avrebbe raggiunto i suoi partigiani nel loro nascondiglio non provava alcun timore. Era una domenica luminosa, soleggiata, mite ed Emma interpretò il meteo come un segnale positivo dall’alto  nei confronti della sua azione umanitaria, così la definiva tra sé e sé . 

Vestita come sempre in modo chic per non destare sospetti, con cappellino abbinato, prese la bici che parcheggiava in piazzale Roma, mise le cibarie nel cestino e iniziò a pedalare tranquilla lungo il ponte che collegava e collega Venezia e Mestre. Aveva sistemato nel corsetto le 4 carte di identità.

E si sentiva dalla parte del giusto, nessun timore la inquinava. Sicura di fare la cosa giusta. Al punto che, fermata da una pattuglia di Polizia con un :”Dove sta andando, signorina? Possiamo vedere un suo documento?” gettò loro con stizza la sua carta d’identità e rispose decisa, per niente intimidita:” Ma che succede? Non è neanche più possibile fare una scampagnata in bicicletta, con questa bellissima giornata? Lavoro tutta la settimana chiusa in ufficio!”

Emma ricordava il poliziotto un po’ imbarazzato, le chiedeva di scusarlo ma stava seguendo le disposizioni…le augurò persino buona gita

Via libera, pedalò sino al casolare segnato sul foglio che le aveva dato lo zio Edgardo. La stava aspettando fuori, da solo, travestito come lo aveva visto a Venezia. Fu un incontro rapidissimo, gli consegnò tutto senza parole e tornò subito indietro, sollevata dall’aver svolto la pesante incombenza. Quando lui aveva visto le cibarie insieme ai documenti, aveva sussurrato grazie per poi scomparire, inghiottito dalla sua vita di fuggitivo.

Emma ripercorse il ponte di collegamento dal verso opposto, Mestre-Venezia e si imbatté nella medesima pattuglia di sorveglianza militare. Che però questa volta la salutò con calore: in seguito, ricordava l’episodio con una certa ironia.

Emma non svelò a nessuno quel che aveva fatto. E non rivide mai più suo zio Edgardo.

Qualche mese dopo ricevette una cartolina da Parigi con il laconico messaggio in stampatello “Tutto bene” e senza firma. Ne fu immensamente contenta sia pur non potendolo dimostrare mentre suo padre, vista la missiva, aveva commentato ridacchiando “Sarà il più timido dei tuoi corteggiatori..”

Parecchi anni dopo Emma, un giorno, raccontò la sua avventura alla figlia oramai adulta che infine, dopo averla ascoltata basita, sbottò con un appassionato :“Mamma, mammina mia sono orgogliosa di te, sei stata fantastica, bisogna riferirlo all’ANPI: la tua vicenda è un pezzetto di storia!”

Emma sorrise e scosse il capo:” Sono solo stata molto fortunata! Non sono la sola ad aver dato un piccolo aiuto alla Resistenza, felice di aver avuto la possibilità di contribuire alla Giustizia”

 

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